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Dietro la corsa di Paulo 65 milioni di rifugiati

C’era una volta un bambino che viveva nel Sud Sudan, in Africa, un Paese sconvolto dalla guerra, una terra in cui non c’era niente da mangiare. Soltanto dei manghi, colti sugli alberi. Non sapeva che cosa fossero le Olimpiadi e neanche lo sport. Faceva il pastore, passava tutto il tempo in mezzo agli animali, aveva perso i genitori, non aveva più vestiti perché crescendo quelli vecchi non andavano più bene. Un giorno, Paulo Amatun Lokoro, questo il suo nome, riuscì a fuggire: furono tutti bambini quelli che scapparono quel giorno. In qualche modo arrivarono in Kenya, nel campo profughi di Kakuna, gestito dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’aiuto ai rifugiati. Da allora, cominciò per Paulo una nuova storia. Arrivata fino al Maracanà di Rio de Janeiro.

Già, il Maracanà: quando è entrato, nella cerimonia di apertura dei Giochi 2016, Paulo è rimasto impietrito dall’emozione. Non aveva mai visto tanta gente tutta insieme. La prima parola che ha detto è stata: “Wow!”.

L’Olimpiade brasiliana è stata la prima ad ospitare una squadra di rifugiati che ha gareggiato sotto le bandiere del Comitato Olimpico Internazionale che, qualche mese prima, aveva deciso la svolta storica: un modo per portare un altro po’ di mondo ai Giochi, un mondo che soffre, un mondo senza casa, un mondo costretto a vagare, un mondo di 65 milioni di persone tanti sono i rifugiati e i richiedenti asilo oggi nel mondo.

Paulo Lokoro è uno di loro. A Kakuna, appena qualche mese fa, partecipò a una selezione: voleva diventare calciatore, si scoprì mezzofondista. E’ arrivato undicesimo nelle batterie dei 1500 metri a Rio, ma nei pensieri ha già la rivincita pronta: “A Tokyo potrò allenarmi molto di più, sarà tutta un’altra cosa”. Agli atleti rifugiati, Rio ha anche dedicato un bellissimo murales che racconta i loro volti, la loro storia, le loro speranze. Con Paulo, hanno gareggiato fra i rifugiati: Rami Aris, nuotatore siriano dei 100 farfalla; Anjelina Nadal Lohalith, anche lei del Sud Sudan e pure lei sui 1500 metri; James Nyang Chiengiek, sudsudanese dei 400 metri; Popole Misenga, judoka della repubblica democratica del Congo; Yusra Mardini, siriana dei 200 metri stile libero; Rose Nathlike Lokonyen, sudsudanese degli 800 metri; Yeich Pur Biel, anche lui dal Sud Sudan, negli 800 metri; Yolande Mabike, judoka congolese; Yonas Kunde, maratoneta etiope.

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